La carbonara

di mimmo — 

carbonara 1Per la carbonara è meglio il guanciale o la pancetta?
No, non si tratta di quella petulante pubblicità che vuole esaltare una certa marca di pasta (Il segreto di un buona pasta, è la pasta! Allo fattela in bianco e non ci sfruculiare più!), ma è una domanda che si pongono in molti, almeno fuori dal Lazio, dove sembra che sia nata la pasta alla carbonara. Dico sembra, perché qualcuno ne accredita l’origine alla cucina napoletana o, addirittura, ad opera degli americani sbarcati in Italia alla fine della seconda guerra mondiale.

La prima ipotesi nasce dal fatto che Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, nel suo trattato in lingua napolitana dal logorroico e suggestivo titolo “Cucina teorico-pratica: col corrispondente riposto ed apparecchio di pranzi e cene, con quattro analoghi disegni, metodo pratico per scalcare, e far servire in tavola, lista di quattro piatti al giorno per un anno intero, e finalmente una cucina casareccia in dialetto napoletano con altra lista analoga”, edito a Napoli nel 1839, riporta diverse ricette tradizionali che fanno uso di uno sbattuto di uova, formaggio, sale e pepe da aggiungere alla pasta nella successiva mantecatura, come, per esempio, la pasta e piselli e la pasta con le zucchine.
Nel secondo caso, invece, si fa riferimento alle truppe angloamericane, che nel 1944, a seguito della liberazione di Roma dai nazifascisti, portarono nella capitale il bacon e la polvere d’uovo, che da qualche napoletano che ne aveva ricevuto in cambio di qualche favore, fu unito alla nostra pasta. L’idea fu ripresa dai cuochi romani che diedero vita a quel condimento che oggi si chiama ‘carbonara’.
Entrambi le tesi sono suffragate dal fatto che nel famoso ricettario “La cucina romana “ del 1930, scritto dalla gastronoma Ada Boni, col proposito di valorizzare la cucina tradizionale, la ricetta della carbonara non è riportata.

carbonaiaMa perché ‘carbonara’? Infatti, è proprio il nome induce a credere nell’ipotesi che la ricetta sarebbe di origine romana, anzi laziale più che romana. Più verosimilmente, pare che questa pietanza sia stata inventata dai carbonai (‘carbonari’ in dialetto romanesco), i quali si recavano sui monti circostanti per curare le carbonaie e vi restavano per lungo tempo. Il lavoro consisteva nel tagliare legna nei boschi, trasportarla in spiazzi piani e aperti, detti ‘piazze carbonaie’, accatastarla e innescare il processo di combustione lenta che porta alla carbonizzazione, ossia alla trasformazione della legna in carbone.
«Andate a mettere le pertiche per la rocchina, che si comincia a involgere» diceva il capo-pala ai carbonai appena era terminata la costruzione della ‘piazza’, per poi rizzare le carbonaie.
A questo punto iniziava il processo di carbonatura, operazione che, al fine di ottenere una migliore qualità del carbone, imponeva di mantenere la temperatura il più possibile costante. Governare il fuoco era un’attività impegnativa: bisognava valutare il colore e l’odore del fumo, che per altro indicava anche la direzione del vento. Altri indicatori importanti erano l’aspetto che il terreno circostante assumeva nel corso della combustione, l’intensità del calore avvertito e i vari scricchiolii e borbottii percepiti. Poi c’erano i fattori climatici, il vento e la pioggia, che potevano anche provocare danni rilevanti. Anche l’aria secca dovuta al caldo eccessivo era considerato un fattore sfavorevole per il controllo della combustione.

Quello del carbonaio era un mestiere duro, e uno dei piatti consumati di frequente era “cacio e ova”. E dal momento che nel loro tascapane, trovava posto, tra l’altro, sempre un pezzo di lardo o ventresca per il reintegro calorico, evidentemente qualcuno pensò di aggiungerlo alla classica pietanza per arricchirlo di gusto e calorie, delle quali avevano un gran bisogno. Nacque, così, la pasta alla … carbonara.

La ricetta
Occorrono, per quattro persone, 350 grammi di bucatini, 150 grammi di guanciale, 100 grammi di pecorino romano, 3 tuorli d’uovo più uno intero, pepe e sale.
In una pentola contenente abbondante acqua portata a bollore e salata con moderazione versate la pasta. Nel frattempo tagliate il guanciale in dadi e ponetelo in un tegame senza l’aggiunta di olio e lasciatelo sul fuoco fino a quando il grasso diventerà trasparente e leggermente croccante, poi togliete dal fuoco e lasciate intiepidire.
A parte, in una ciotola sbattete con una frusta le uova e unite il formaggio e il pepe macinato in quantità secondo il proprio gusto. Quindi, aggiungete il guanciale. Scolate la pasta al dente, versatela in una zuppiera, unitevi il composto di uova, formaggio, guanciale e pepe e amalgamate il tutto, naturalmente, senza saltarla sul fuoco. Una volta servita nel piatto, chi lo desidera, può aggiungere altro formaggio e ancora pepe.

Oltre ai bucatini si possono utilizzare anche gli spaghetti o la pasta corta, a condizione che sia rigata. Ottimi sono anche gli spaghetti alla chitarra. Qualcuno aggiunge alla pietanza un cucchiaio di panna, ma stravolge la ricetta originale e conferisce ad essa un sapore diverso, che potrebbe anche essere gradevole, ma non è la vera, autentica, gustosissima pasta alla carbonara.

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